Osteoporosi

Osteoporosi Infografica

Dopo una certa età, una lenta perdita di minerali dall’osso è normale e fa parte delle modificazioni che il nostro organismo subisce con l’invecchiamento.
Se la massa ossea scende al disotto di determinati livelli (o perché la perdita è più veloce della norma o perché è continuata troppo a lungo), allora si arriva alla fragilità dell’osso.
L’osteoporosi colpisce soprattutto le donne: 1 donna su 4.
Gli uomini sono colpiti con frequenza minore: 1 uomo su 10.
Un momento critico per le donne arriva con la menopausa, tanto più se precoce o chirurgica.
Spesso una donna di 70 anni – un’età che permette oggi ancora una vita attiva nella gran parte dei casi – si trova ad aver perso, senza particolari sintomi o segni, il 30% della sua massa ossea.

La malattia

L’osteoporosi è “una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da ridotta massa minerale e deterioramento microstrutturale del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità dell’osso e maggior rischio di fratture”.
Si calcola che, nel mondo, circa 200 milioni di persone siano attualmente affette da osteoporosi. Solo in Europa, USA e Giappone, l’osteoporosi colpisce più di 75 milioni di persone. La tendenza all’allungamento della vita media e all’invecchiamento delle popolazioni, in mancanza di seri interventi di prevenzione, determinerà nei prossimi decenni un significativo aumento dei casi. Attualmente, ogni anno in Europa e USA, si verificano più di 2.3 milioni di fratture da osteoporosi. Nel 1990, nel mondo, le fratture di femore sono state stimate a 1,6 milioni; per il 2050 se ne attendono 6,3 milioni.
In Italia, in cui mancano ancora dati precisi sul numero di persone realmente affette da osteoporosi, si valuta che nel 1990 l’osteoporosi abbia causato circa 100.000 fratture di polso e 60.000 fratture di femore.
Non sono quantificabili le fratture vertebrali, che in genere non passano dal “pronto soccorso” degli ospedali e non sono quindi rilevate a fini statistici.
Come si arriva all’osteoporosi “ladro silenzioso di calcio“.
Il rischio di arrivare all’osteoporosi dipende dalla combinazione di tre fattori:

  • il capitale osseo raggiunge il picco attorno ai 20-25 anni;
  • la perdita di massa ossea inizia attorno ai 40 anni e procede con velocità maggiore in particolare nelle donne dopo la menopausa;
  • la durata di questa “perdita di osso” dipende dalla longevità dell’individuo ed è tanto più lunga quanto più precoce è la menopausa.

Un giusto programma di prevenzione – basato su una dieta corretta e su una regolare attività fisica – può modificare sensibilmente i primi due fattori e ridurre i rischi di fratture ossee da osteoporosi.

I segni e i sintomi dell'Osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia difficile da riconoscere: il più delle volte non dà nessun segno di sé. Per questo è stata definita il “ladro silenzioso”, perché ruba per anni, in silenzio, il calcio del nostro osso. In alcuni casi, l’osteoporosi può accompagnarsi a dolore osseo, un dolore sordo o un senso di pesantezza alla schiena che compare dopo che si è stati a lungo in piedi e scompare sdraiandosi. Spesso si confonde con il dolore da spondiloartrosi.
Ma nella maggior parte dei casi, l’osteoporosi non dà nessun segnale, si manifesta improvvisamente con una delle tipiche fratture “da fragilità ossea” dell’anziano: fratture di polso, coste, vertebre o femore a seguito di traumi anche molto lievi e banali.

Come valutare la propensione individuale all’osteoporosi?

Analizzando i propri “fattori di rischio” ed è importante che una valutazione sia fatta, meglio se con l’aiuto del proprio medico, da tutte le donne che si avvicinano alla menopausa.
Intorno ai 65 anni, è quindi consigliabile sottoporsi a una misurazione della “densità minerale ossea” con la MOC. La MOC DXA è oggi considerata l’esame più attendibile per la diagnosi di osteoporosi.

Le fratture da Osteoporosi

Le fratture da osteoporosi sono più frequenti in certi distretti scheletrici.
Se cadendo hai riportato una frattura del polso, la cosiddetta frattura di Colles, è necessario valutare la presenza o no di una osteoporosi sistemica. Nell’età avanzata, sono soprattutto due i punti critici, le vertebre e il femore.
Le fratture vertebrali si manifestano con un dolore improvviso e violento alla schiena che di solito, specie se a livello lombare, rende difficili o quasi impossibili i movimenti per giorni e settimane. Le fratture vertebrali possono avvenire non solo a seguito di una caduta, ma spesso anche facendo semplici movimenti, come il classico piegamento in avanti per raccogliere un oggetto o sollevando un peso.
È importante capire che si tratta di una frattura, e non di un banale “mal di schiena”.
La diagnosi può essere posta con un esame radiologico della colonna vertebrale.
Il riposo a letto è la terapia basica per “curare” inizialmente le fratture vertebrali. Può essere associata a due metodiche fisioterapiche che sono in grado di ridurre il dolore e di aumentare la osteogenesi: i campi magnetici pulsati ovvero la Magnetoterapia e la Bemerterapia.
Entrambe attivano, con modalità diverse, il metabolismo cellulare osseo.

Fondamentale è il busto ortopedico durante il carico del paziente seduto e in piedi.

La terapia chirurgica è un’alternativa, con due tecniche diverse “vertebroplastica” e “cifoplastica”.
Si tratta di interventi volti a stabilizzare la situazione, soprattutto al fine di ridurre il dolore.

Nella fase acuta il dolore da frattura vertebrale, è importante e impedisce il riposo notturno.
La magnetoterapia domiciliare consente di eseguire la terapia per almeno 10 ore al giorno, anche durante il riposo notturno. Anche la Bemerterapia può essere eseguita a domicilio. Il dolore dura in genere da due a quattro settimane. Oltre alla fisioterapia possono essere prescritti farmaci antidolorifici iniziando dal paracetamolo (tachipirina) fino agli oppioidi, per ridurre il dolore a livelli sopportabili.
Il busto ortopedico “ a tre punti” è fondamentale per consentire la posizione seduta e il cammino.
Le fratture vertebrali possono ripetersi a distanza di tempo e causare una perdita in altezza anche di parecchi centimetri.
Le fratture di femore sono molto più temibili. Di solito colpiscono persone più anziane, con un’osteoporosi avanzata e magari non conosciuta, a seguito di una caduta. Richiedono il ricovero in ospedale, un intervento chirurgico, e una più o meno lunga riabilitazione. Molte persone, anche molto anziane, riescono a superare brillantemente anche una frattura di femore e in pochi mesi riprendono la vita di prima, altre non recuperano la piena indipendenza. Il recupero è tanto migliore quanto più la persona è in buone condizioni fisiche e mentali.

Farmaci specifici per l'Osteoporosi

i bifosfonati. In particolare dopo una frattura, una persona con osteoporosi, è bene che inizi una terapia farmacologica specifica per l’osteoporosi. La semplice alimentazione ricca di calcio, l’attività fisica, e magari un supplemento di calcio e/o vitamina D non bastano più. Occorre aggiungere alla prevenzione, importantissima e che resta fondamentale, anche un farmaco capace di riportare il metabolismo osseo verso l’equilibrio fra riassorbimento e formazione.
Norme per accesso alla MOC e per la prescrizione dei farmaci con il S.S.N.
Attualmente, le norme per l’accesso alla MOC sono state uniformate in tutte le Regioni italiane, nel quadro dei “Livelli essenziali di assistenza” (LEA).
La maggior parte dei farmaci oggi riconosciuti come efficaci contro l’osteoporosi sono prescrivibili in fascia A – cioè con il solo pagamento del ticket (se applicabile) – secondo la “nota AIFA 79”.

Tipi diversi di Osteoporosi

L’osteoporosi classica è una malattia della terza età, e in primo luogo delle donne in menopausa. Si parla quindi di osteoporosi senile o meglio, nella donna, di osteoporosi post-menopausale. L’osteoporosi postmenopausale è legata essenzialmente alla brusca caduta del livello degli estrogeni, gli ormoni sessuali necessari, tra l’altro, per il normale metabolismo osseo. Nel sesso maschile, l’osteoporosi senile colpisce più tardivamente sia perché l’uomo ha in genere in partenza, per motivi genetici, un osso più robusto e più ricco di calcio, sia perché la caduta degli ormoni sessuali maschili è molto più lenta e graduale.
Esistono anche forme di osteoporosi giovanile, che possono colpire a tutte le età. Queste forme sono decisamente meno frequenti dell’osteoporosi post-menopausale.
Se si riscontra una osteoporosi in una persona sotto i 50 anni, per esempio a seguito di una frattura, spesso si tratta di una osteoporosi secondaria, cioè dovuta a una malattia che deve essere ricercata e se possibile curata.
Malattie di diversa natura che possono essere riconosciute e curate portando a un miglioramento dell’osteoporosi, poiché nelle persone più giovani il tessuto osseo ha buone possibilità di recupero della massa ossea.
Quali sono le malattie che causano osteoporosi secondaria?
Le malattie che spesso sono causa di osteoporosi giovanile, sono spesso povere di segni e sintomi rilevanti, sono:

  • le malattie che determinano malassorbimento intestinale, e che non permettono un assorbimento ottimale del calcio alimentare (malattia di Crohn, celiachia, ecc.);
  • i disturbi del comportamento alimentare che porta a un dimagrimento progressivo e una ridotta assunzione alimentare di calcio, come l’anoressia nervosa;
  • le malattie che determinano un cattivo stato metabolico, e in particolare un’insufficiente disponibilità dei metaboliti attivi della vitamina D (malattie ostruttive respiratorie croniche, insufficienza renale cronica, epatopatie croniche);
  • le malattie che determinano una continua perdita di calcio con l’urina (ipercalciuria idiopatica);
  • le malattie del sistema endocrino che interferiscono con la regolazione del metabolismo osseo:
    • ipogonadismi;
    • menopausa precoce (prima dei 45 anni);
    • menorree prolungate (>1 anno);
    • iperparatiroidismo; ipertiroidismo;
    • malattia di Cushing;
    • iperprolattinemia;
  • malattie che interessano direttamente l’osso, come il mieloma multiplo;
  • malattie che necessitano di una lunga terapia steroidea o che riducono fortemente l’attività fisica (artrite reumatoide, lupus eritematosus sistemico, fibrosi cistica, distrofia muscolare, trapianti d’organo, ecc.);
  • l’uso cronico di farmaci (oltre ai corticosteroidi l’eparina, gli anticonvulsivanti, gli antiacidi).

Quindi curare queste malattie o ridurre l’uso della terapia steroidea, può ridurre i danni subiti dall’osso.
Per esempio, quando si diagnostica la celiachia, la terapia con una adeguata alimentazione ovvero con la introduzione di una dieta priva di glutine può determinare in poco tempo un importante miglioramento dell’osteoporosi e un recupero di massa ossea.

Attività fisica e osso

Per mantenere uno scheletro sano è fondamentale una adeguata e regolare attività fisica. Le sollecitazioni meccaniche che derivano dal movimento sono importanti per i processi di rimodellamento osseo che continuano lungo tutta la vita. Non è obbligatorio andare in palestra o “fare ginnastica”, anche se naturalmente queste sono attività molto utili per tenersi in forma e “socializzare”.
Tutto quello che fa sentire all’osso il peso del corpo, o che determina “carico” sull’osso, stimola la formazione ossea, e quindi irrobustisce l’osso. Contro l’osteoporosi, la più semplice attività che si può fare è camminare.

Alimentazione e osso

Il latte è un alimento ricco di calcio

Per mantenere il corpo in salute occorre una buona alimentazione. È importante un adeguato apporto di acqua (almeno 1 litro al giorno) di carboidrati (zuccheri e amidi), proteine, grassi, di vitamine e Sali minerali.
Un’alimentazione non abbondante ma molto varia è la miglior garanzia per far bene: mangia un po’ di tutto e automaticamente assumi quantità equilibrate dei vari principi alimentari.
Non fare l’errore per evitare di ingrassare di eliminare alimenti essenziali come il latte e soprattutto – data la loro fama di alimenti molto calorici – i formaggi. Infatti, il latte e i latticini, con il loro alto contenuto di calcio, sono a tutte le età alimenti importanti per la salute dell’osso.
Gli alimenti hanno due funzioni. La prima è di dare energia “bruciata” nelle cellule dell’organismo, liberano l’energia necessaria a far funzionare il nostro organismo a partire dai neuroni del cervello e dal miocardio della pompa cardiaca, e per farci muovere attraverso la contrazione dei nostri muscoli. Le cellule del nostro organismo utilizzano i carboidrati e le proteine sviluppando un’energia termica pari a 4 chilocalorie al grammo, o e i grassi 9 chilocalorie.
L’altra funzione è di costruire e mantenere il corpo come “struttura”.
Per esempio i globuli rossi (eritrociti) che sono la parte del nostro sangue deputata a catturare e trasportare ossigeno vengono ogni giorno distrutti in parte e ricostruiti nel midollo osseo; la vita del globulo rosso è di soli pochi mesi quindi il sangue è completamente ricostruito e distrutto molte volte nel corso di un anno di vita, Il tessuto osseo è continuamente distrutto e ricostruito nel corso degli anni.
L’alimentazione fornisce la materia per questa ricostruzione (rimodellamento o turnover).

Il calcio

Il calcio è essenziale per la salute dell’osso. Una dieta carente di calcio è molto frequente.
Le mode alimentari, i prodotti “fast food”, e anche i modelli di riferimento – le “top model” con i loro corpi alti e magri, orientano verso una alimentazione poco equilibrata.
In tutto l’occidente, la dieta dei giovani e giovanissimi è spesso troppo povera di calcio. A parte il gelato o yogurt, il latte non è più sulla tavola di tutti i giorni e anche I formaggi sono visti come alimenti grassi e ipercalorici. Il calcio si ottiene soprattutto dal latte e dai suoi derivati come yogurt e formaggi. Un litro di latte (anche totalmente scremato) contiene circa 1,2 grammi di calcio. Per confronto poco meno di 100 grammi di grana/parmigiano ne contengono circa 1 grammo. È importante sottolineare che il latte parzialmente o totalmente scremato e lo yogurt magro contengono le stesse quantità di calcio dei prodotti “interi”.
Il latte totalmente scremato è un’ottima fonte di calcio e di proteine, dà pochissime calorie, e – se piace – si può benissimo usare durante la giornata come bevanda dissetante.
Anche i pesci che – come le alici o il salmone in scatola – si mangiano con tutta la lisca, sono una buona fonte di calcio. Lo stesso vale per polpi, calamari e gamberi. Molti vegetali verdi (broccoletti, indivia, radicchio, carciofi, spinaci, cardi, ecc.) contengono una buona quantità di calcio: tuttavia, il calcio delle verdure è molto meno assimilabile di quello dei latticini. Arachidi, pistacchi, noci, mandorle, nocciole, fichi secchi contengono molto calcio.
In Italia, l’acqua del rubinetto in molte città, è piuttosto ricca di calcio. Anche molte acque minerali sono ricche di calcio: quelle che ne contengono più di 200 mg per litro possono fornire una discreta quota del fabbisogno quotidiano di un adulto.

La dose quotidiana di calcio

L’osso ha bisogno di calcio. E il calcio deve arrivare ogni giorno “dall’esterno” con i cibi. In realtà, i principali componenti minerali dell’osso sono due: il calcio e il fosforo. Ma il fosforo è contenuto in una grande varietà di alimenti, per cui una sua carenza è praticamente impossibile, mentre il calcio è contenuto in quantità significative solo nel latte e nei suoi derivati. Latte (anche scremato), yogurt (anche magro) e formaggi devono quindi far parte fin da giovani della nostra alimentazione quotidiana.

Esiste ormai un ampio consenso sulle “dosi quotidiane raccomandate” di calcio nei diversi periodi della vita.

Società Italiana di Nutrizione Umana (revisione 1996)

Età mg/giorno
lattanti < 1 anno 600
da 1 a 6 anni 800
da 7 a 10 anni 1000
da 11 a 17 anni 1200
da 18 a 29 anni 1000
uomini da 30 a 59 anni 800
donne da 30 a 49 anni 800
uomini 60+ anni 1000
donne 50+ anni 1200-1500 (*)
______
* Nelle donne in età post-menopausale si consiglia un apporto di calcio da 1200 a 1500 mg in assenza di terapia sostitutiva con estrogeni. Nel caso di terapia sostitutiva con estrogeni, il fabbisogno è uguale a quello degli anziani maschi (1000 mg).

In realtà molte persone non assumono una quantità adeguata di calcio con l’alimentazione.
Una ricerca americana ha stimato che il 25-50% degli uomini di età tra i 18 e i 34 anni assume una quantità insufficiente di calcio. Va ancora peggio per le donne: meno del 33% delle donne tra i 18 e i 74 anni e addirittura meno del 25% delle donne sopra i 35 anni (quindi, rispettivamente, meno di una donna su tre o di una donna su quattro!) hanno un apporto giornaliero di calcio in linea con le raccomandazioni.
Questa situazione rivela che un’ampia percentuale della popolazione, sottoponendo il proprio organismo a un costante prelievo di calcio dall’osso per carenza di calcio nella dieta, è a rischio di un indebolimento dello scheletro per osteoporosi, e persino della perdita di denti per la rarefazione dell’osso alveolare.
Si deve anche tener presente che dopo i 60 anni di età l’assorbimento intestinale di calcio si riduce.
Per questo gli anziani hanno bisogno di maggiori quantità di calcio, e in genere è bene che prendano anche un supplemento di vitamina D (o di uno dei suoi derivati attivi, come calcifediolo o calcitriolo).

Cibi ricchi di calcio

Uno dei cardini della prevenzione e della cura dell’osteoporosi è aumentare il consumo di cibi ricchi di calcio.
La miglior fonte di calcio è costituita da latte e latticini (yogurt, formaggi) e il gelato. Ma anche l’acqua è importante.
Durante il terzo trimestre di gravidanza e nell’allattamento, la quantità ottimale sale a circa 1,5 grammi di calcio al giorno, e anche un po’ di più nelle donne di età inferiore ai 20 anni.

Consigli pratici

  • Assumi ogni giorno almeno una tazza di latte (200 ml), meglio se parzialmente scremato.
  • Fai ogni giorno uno spuntino ricco di calcio: uno yogurt, un gelato oppure un frullato di frutta e latte.
  • Bevi ogni giorno almeno 1,5 litri di acqua.
  • Consuma una porzione di formaggio 2 volte alla settimana.
  • Due volte alla settimana mangia pesci, crostacei o molluschi ricchi di calcio.

Osteoporosi e Magnetoterapia

BEMER

I campi magnetici pulsati a bassa frequenza e bassa intensità, sono indicati con la sigla CEMP (Campi Elettromagnetici Pulsati) o PEMF in inglese (Pulsed Electromagnetic Fields) utilizzati e prodotti a intensità basse, non superiori a 100G e frequenze ridotte, non maggiori di 100 Hz, sono alla base della Magnetoterapia.

La magnetoterapia è una metodica non invasiva, indicata per il trattamento delle fratture ossee, quindi anche per le fratture osteoporotiche (a livello del rachide dorsale e lombare o a livello del collo del femore), è inoltre indicata a cicli per rallentare il processo generale dell’osteoporosi.

La Magnetoterapia può essere applicata in modo mirato, concentrando l’applicazione su particolari distretti anatomici, o in modo totale, sottoponendo l’intero organismo all’azione benefica dei campi magnetici pulsati.

La Magnetoterapia è efficace perché i campi magnetici pulsati (PEMF) hanno un effetto di stimolazione della migrazione degli ioni Calcio all’interno dei tessuti ossei, in grado di indurre il consolidamento della massa ossea e favorire la riparazione delle fratture.
La stessa azione a livello delle membrane intracellulari porta al ripristino della produzione ottimale di ATP, la molecola che porta energia a tutte le strutture cellulari dell’organismo.
Nell’osteoporosi la magnetoterapia induce e migliora la osteogenesi ovvero la ricostruzione del tessuto osseo: ha una azione sulla membrana degli osteoblasti producendo una vivace deposizione del collagene e un aumento della mineralizzazione.

CONTROINDICAZIONI

La magnetoterapia ha alcune controindicazioni: non può essere fatta in gravidanza ed è vietata ai soggetti in età evolutiva perché è necessario che lo scheletro abbia completato la sua fase di sviluppo. È controindicata anche in caso di infezioni, di patologie tumorali in atto e per i pazienti portatori di pace-maker, perché le onde magnetiche potrebbero interferire con il corretto funzionamento dell’apparecchio cardiaco.

Terapia farmacologica dell’Osteoporosi

Quando è necessaria una terapia farmacologica specifica?
Due sono le domande cui dare una risposta:

  1. quali sono i pazienti che hanno reale necessità di iniziare una terapia farmacologica specifica?
  2. quali sono i farmaci di validata efficacia?

Pazienti che hanno reale necessità di iniziare una terapia farmacologica specifica

Per rispondere alla prima domanda si deve valutare sia il profilo di rischio individuale e sia quanto sia l’entità della perdita del tessuto osseo valutata con MOC DXA.

I principali fattori di rischio per le fratture osteoporotiche

Sono l’età, le precedenti fratture da fragilità, la terapia cortisonica cronica, i pazienti con rischio di cadute (bassa acuità visiva, malattie neuromuscolari), un ridotto apporto di calcio, la carenza di vitamina D, una menopausa prematura, la magrezza, il fumo e l’abuso di alcool.

Oltre ai cortisonici, anche altri farmaci (tiroxina, antiepilettici, anticoagulanti), aumentano il rischio di osteoporosi.

Il principale fattore di rischio per la frattura osteoporotica

rimane la densità minerale ossea: a ogni riduzione di una DS del T-score corrisponde circa un raddoppio del rischio di frattura.
I dati epidemiologici dimostrano che:

  • il rischio di frattura è più alto nelle pazienti con livelli di densità ossea “osteoporotici” (T-score < -2.5 DS)

ma dimostrano anche che:

  • il numero maggiore di fratture avviene nelle donne con livelli di densità ossea “osteopenici” (T-score compreso tra -1 e -2.5 DS), e quindi meno compromessi rispetti a quelli propriamente osteoporotici.

Sono candidate a terapia con farmaci per osteoporosi quasi tutte le donne con una precedente frattura da fragilità e sono esposte ad alto rischio di avere ulteriori fratture.

Farmaci di validata efficacia per la cura dell’osteoporosi

È assolutamente necessario avere un adeguato apporto di calcio e vitamina D per tutti i pazienti. È dimostrato che livelli plasmatici sufficienti (>30 mg/ml) di colecalciferolo sono in grado di migliorare la risposta ai farmaci per l’osteoporosi. Mentre un apporto sufficiente di calcio può essere ottenuto con la dieta, ciò non è possibile per la vitamina D.
I casi di deficit di vitamina D (ipovitaminosi D) devono essere corretti: terapia orale di mantenimento quotidiana (750-1.000 U/die) o settimanale (5.000-7.500 U/settimana).

Terapia Estroprogestinica

La terapia estro progestinica ha una buona efficacia sulla prevenzione dell’osteoporosi nei casi di menopausa precoce. Invece la reale efficacia anti-frattura nelle donne che hanno una “normale” menopausa (“ in post-menopausa fisiologica”) è scarsa se non nulla. Inoltre sono stati riscontrati effetti collaterali importanti, in particolare un’aumentata incidenza di carcinoma della mammella, di eventi cardiovascolari, cerebrovascolari e tromboembolici venosi.
Il rapporto rischio/benefico è quindi sfavorevole. Come criterio generale, l’uso razionale degli estrogeni è oggi limitato alla terapia sostitutiva della menopausa precoce.

Bisfosfonati

I bifosfonati rappresentano una classe di farmaci, utile per il trattamento di patologie metaboliche e oncologiche coinvolgenti l’apparato scheletrico. Il loro meccanismo d’azione si basa sulla capacità di inibire il riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti. I più comuni bifosfonati utilizzati in terapia sono:

  • alendronato,
  • risedronato,
  • ibandronato,
  • pamidronato
  • zoledronato

composti dotati di elevata potenza e selettività.

I primi tre sono utilizzati per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi mentre pamidronato e zoledronato svolgono un ruolo essenziale nella prevenzione delle complicanze ossee e nel trattamento dell’ipercalcemia severa associata a mieloma multiplo o a metastasi ossee conseguenti a carcinoma mammario o prostatico.

Alendronato

(Alendros, Adronat, Fosamax, Dronal, Genalen 70 mg, somministrazione settimanale)

È un farmaco utilizzato sia per la prevenzione primaria sia secondaria ed è in grado di ottenere una riduzione del rischio relativo di nuove fratture intorno al 50%.

Risedronato

(Actonel, Optinate 35 mg, somministrazione settimanale o Actonel, Optinate 75 mg, per due giorni consecutivi al mese)

Anche l’utilizzo del risedronato ha evidenziato riduzione delle fratture vertebrali e non vertebrali con dati sovrapponibili a quelli dell’alendronato.

Ibandronato

(Bonviva 150 mg, somministrazione mensile)

Per questo farmaco è documentata una chiara efficacia sulla riduzione delle fratture vertebrali, ma non è direttamente dimostrata la efficacia sulle fratture non-vertebrali.

Zoledronato

(Aclasta 5 mg, soluzione per infusione, annuale)

Già noto per il trattamento delle metastasi ossee e del mieloma, lo zoledronato è stato studiato per la terapia dell’osteoporosi, alla dose di 5 mg e.v. una volta all’anno. Le credenziali di efficacia del farmaco sono molto buone, anche se è stata segnalata una tossicità cardiaca (episodi di fibrillazione atriale) e renale (insufficienza renale acuta reversibile). La particolare modalità di somministrazione (endovenosa annuale) impone setting assistenziale necessariamente ospedaliero.

Clodronato

(Clasteon 400 mg, Clasteon 100 mg/3,3 ml per intramuscolo, Clasteon 300 mg/10 ml soluzione per infusione)

I dati di efficacia di questa molecola dimostrano che sono limitati dal fatto che il farmaco NON rappresenta un ausilio utile nell’osteoporosi.

Il problema della osteonecrosi della mandibola

L’osteonecrosi asettica della mandibola è un effetto collaterale ben noto in ambito oncoematologico. Si tratta di una necrosi del tessuto osseo che si può manifestare nei pazienti trattati con bisfosfonati a seguito di manovre odontoiatriche invasive. Nei pazienti non ancora in trattamento, le procedure odontoiatriche vanno completare prima di iniziare la terapia con bifosfonati. Nei pazienti già in trattamento e con procedure odontoiatriche differibili, il bisfosfonato deve essere sospeso per 3-6 mesi prima di eseguire il trattamento odontoiatrico. In questo tempo non ci si può aspettare la scomparsa del farmaco dal tessuto osseo (data la lunghissima emivita ossea dei bisfosfonati).

Nei pazienti già in trattamento e con procedure odontoiatriche non differibili, l’odontoiatra presterà attenzione a operare con la massima asepsi e il minimo traumatismo possibili, procedendo a un’adeguata profilassi antibiotica (amoxicillina + acido Clavulanico) e a uno stretto follow up.

Osteonecrosi della mascella da terapia con bifosfonati

Generalmente i bifosfonati sono ben tollerati e raramente sono in grado di causare effetti collaterali rilevanti. Recenti segnalazioni hanno tuttavia descritto l’osteonecrosi avascolare della mascella quale effetto avverso potenzialmente grave associato alla somministrazione cronica di tali farmaci.
Sebbene l’osteonecrosi sia stata finora riportata soprattutto nei pazienti sottoposti alla somministrazione endovenosa di pamidronato e/o zoledronato, un numero sempre crescente di casi è riportato tra i pazienti soggetti all’assunzione di bifosfonati a uso orale (alendronato o risedronato) per il trattamento dell’osteoporosi o del morbo di Paget.
Nel 70-80% dei casi, l’osteonecrosi della mascella da bifosfonati si manifesta inizialmente con una mancata guarigione o con un ritardo nel processo di guarigione della mascella o della mandibola dopo un’estrazione dentaria o in seguito a un qualsiasi altro intervento di chirurgia orale.

Gli stadi precoci della patologia sono caratterizzati dalla mancanza di sintomi e dall’assenza di alterazioni radiologiche; in questa fase il dolore può essere dovuto a infezioni della porzione di osso esposta. Nel 25-40% dei casi l’osteonecrosi della mascella insorge spontaneamente senza alcuna correlazione a particolari traumi In questi casi il primo e più comune sintomo è dato da una sensazione sgradevole alla bocca che si manifesta con intorpidimento, parestesia e bruciore. Si verifica poi una graduale alterazione della mucosa orale con formazione di ulcere persistenti. In questa fase si può palesare un forte dolore dovuto a infezioni della porzione ossea necrotizzata indotta dalla flora batterica orale. Poiché questi sintomi precedono l’osteonecrosi vera e propria, la loro identificazione è essenziale ai fini della prevenzione.
Normalmente, la mandibola e la mascella sono le uniche ossa coinvolte nell’osteonecrosi da bifosfonati.

Uno dei principali fattori di rischio per l’osteonecrosi della mascella è dato dalla durata della terapia con bifosfonati.

I pazienti trattati per più di 12 mesi con tali farmaci sono quelli maggiormente a rischio di sviluppare la complicanza.

Conclusioni

L’alendronato è un farmaco ad ampio spettro di utilizzo, che può rappresentare una prima scelta in svariate situazioni cliniche.
Quasi sempre andrà associato alla vitamina D, e s’incoraggia il ricorso alle formulazioni settimanali di associazione alendronato 70 mg + colecalciferolo 5600 U.

Il risedronato ha analoghe caratteristiche, ma un più elevato costo.

L’ibandronato ottiene il gradimento dei pazienti per la somministrazione una volta al mese.

I cicli di magnetoterapia rappresentano un’utile integrazione.